Riservatezza nel mondo digitale
Viviamo in un'epoca in cui la privacy non è più una condizione naturale da preservare, ma un'eccezione da giustificare. L'ideale moderno dell’individuo come soggetto autonomo, padrone dei propri dati e custode geloso della propria interiorità, appare oggi radicalmente rovesciato. La logica digitale contemporanea – quella che struttura piattaforme, algoritmi, dispositivi e relazioni online – impone un nuovo paradigma: si è reali soltanto nella misura in cui si è esposti. I dati personali acquistano valore non nella custodia, ma nella cessione; il silenzio non garantisce più libertà, mentre l’autodichiarazione continua diventa la condizione stessa dell’esistenza sociale. Essere visti diventa, paradossalmente, il requisito per esistere.
Questo slittamento, solo in apparenza neutro e inevitabile, ha profonde conseguenze giuridiche. Normative come il Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR) si fondano su una concezione ancora moderna della persona come titolare di diritti fondamentali, capace di esercitare un consenso libero e informato (art. 4, par. 11 e art. 7 GDPR). Tuttavia, nella pratica quotidiana, il consenso si riduce spesso a un automatismo: un semplice clic su "accetta" per ottenere servizi essenziali o accedere a contenuti di intrattenimento. L'accesso ai diritti digitali si configura così come uno scambio implicito, che impoverisce il concetto stesso di autodeterminazione informativa, sminuendo l’idea di fondo della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (art. 8, protezione dei dati personali).
Il diritto, concepito per proteggere la libertà dell'individuo, si trova oggi di fronte a una sfida strutturale: la pressione sistemica verso l'esposizione rende la scelta della riservatezza non solo difficile, ma penalizzante. In questo quadro, la neutralità formale dell'ordinamento rischia di tradursi in una complicità involontaria con le logiche di mercato e di governance algoritmica.
La filosofia offre strumenti preziosi per leggere questo mutamento. Se, come insegnava Hannah Arendt, la distinzione tra sfera pubblica e privata garantiva la possibilità per l'individuo di costruire liberamente sé stesso, oggi l’identità si configura come una performance continua. L’essere umano è progressivamente governato attraverso la sua visibilità: la trasparenza, lungi dal liberare, espone e vincola, divenendo una nuova forma di controllo, interiorizzata e spesso accettata in nome dell’efficienza, della sicurezza percepita o del bisogno di riconoscimento sociale.
Ne consegue che la sfida giuridica contemporanea non si esaurisce nella regolamentazione tecnica dei trattamenti di dati personali, ma richiede un ripensamento sostanziale della tutela della persona. Occorre passare da una protezione meramente formale del consenso a una tutela effettiva della possibilità di rimanere opachi, di non essere profilati, di non essere esposti. Si pensi, a titolo esemplificativo, alla necessità di:
· promuovere architetture digitali basate sul privacy by design e by default (art. 25 GDPR), imponendo configurazioni che riducano al minimo la raccolta dei dati senza richiedere un intervento attivo dell’utente;
· riconoscere normativamente il diritto alla non profilazione (cfr. art. 22 GDPR), garantendo che l’accesso ai servizi digitali non sia subordinato alla cessione di dati non strettamente necessari;
· incentivare economicamente o certificare i soggetti che offrono servizi digitali in modalità privacy-friendly, ad esempio attraverso regimi di certificazione;
· potenziare il diritto all'uso di strumenti di anonimato e pseudonimato, riconosciuto anche come misura di sicurezza adeguata all’art. 32 GDPR.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha più volte ribadito l’importanza di garantire un controllo effettivo sui propri dati personali, anche contro pratiche che rendano illusorio il consenso (v. sentenze C-311/18 "Schrems II", sulla protezione effettiva dei dati trasferiti all'estero, e C-252/21 "Meta Platforms", sulla subordinazione dei servizi all'accettazione di trattamenti non necessari).
Attraverso interventi di questo tipo, il diritto potrà effettivamente riaffermare che l’essere umano mantiene la propria dignità anche quando sceglie il silenzio, anche quando rifiuta la profilazione, anche quando decide di non essere visibile. In un mondo che tende a identificare il valore dell’individuo con la sua esposizione, la più alta funzione del diritto è proteggere la libertà di esistere anche nell’invisibilità, riaffermando la sovranità dell'interiorità umana contro ogni logica di mercificazione.
Riferimenti bibliografici
1. v. Zuboff, S., The Age of Surveillance Capitalism, PublicAffairs, 2019.
2. Solove, D.J., "Privacy Self-Management and the Consent Dilemma", Harvard Law Review, Vol. 126, No. 7, 2013.
3. Foucault, M., Sorvegliare e punire, Einaudi, 1976.